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Da: Libreria Editrice Urso – Avola <info@libreriaeditriceurso.com>
Data: Domenica, 18 febbraio 2001 22:05

Oggetto: Per Don Chisciotte e le librerie

 

CORRIERE DELLA SERA CULTURA foto

Venerdì 16 FEBBRAIO 2001

Passato e futuro Alla scoperta delle piccole realtà italiane dove, tra specializzazione e idealismo, si cerca di contrastare l'inarrestabile ascesa dei megastore di modello internazionale

LIBRERIE L'ultima avventura di Don Chisciotte

 

Il libraio è un Don Chisciotte. Come spiegare altrimenti, se non con una letteraria follia alla maniera dell'hidalgo della Mancia, la scelta di quel Francesco Urso, che ad Avola (nella libreria probabilmente più a Sud d'ltalia) propone pubblicazioni, come Le siciliane di Giacomo Pilati o come Le Sirene e l'Isola di Giovanni Stella, all'apparenza lontane da ogni possibile tentazione di best-seller persino in un megastore d'ultima generazione. E ancora come giustificare in altro modo (nel tempo dei bookshop aperti fino a mezzanotte con presentazioni, miniconcerti rock e spuntini vegetariani) l'impegno di quella Maria Calabrò che regola aperture e chiusure del suo piccolo studio bibliografico di Trevignano Romano con quelli dell'influenza, dei grandi temporali o delle commissioni in città? La loro è una scelta che (secondo l'ottica dei maghi del merchandising) risulta spiegabile soltanto con una parola: follia. Alla maniera di Don Chisciotte.

Sono tempi duri per le milletrecento vere librerie italiane, di cui trecento (le più grandi e le più aggiornate) in grado di coprire da sole la metà del fatturato totale dell'intero canale nazionale. Tempi duri che penalizzano, in particolare, gli spazi di tipo generalista (quelli insomma «modello boutique» con i grandi successi editoriali in bella vista) e quelli senza vizi né virtù o, meglio, senza carattere. E che privilegiano, al contrario, i grandi scaffali multinazionali e iperefficienti: veri e propri ibridi tra il supermercato, lo spaccio, il tendone di piazza e la bancarella. Dove il libraio non può essere più quell'affascinante incrocio (alla maniera dell'Anthony Hopkins pre-Hannibal-the-Cannibal di "84 Charing Cross Road") tra l'amanuense, il copista, il bancarellaio pontremolese, il sensale, l'editore, il legatore, il tipografo, il cartolaio e lo stampatore. Un affascinante incrocio che (secondo tradizione) non vendeva soltanto romanzi e saggi ma anche almanacchi, spartiti e chincaglierie di vario genere.

Per fortuna il futuro del libro non è però soltanto quello giocato sul filo delle migliaia di metri quadrati da riempire con centosessanta nuove uscite giornaliere (oltre cinquantottomila in un anno), ma può essere anche nelle mani di questi "idealisti della pagina", nonostante si tratti di un universo fragile, che si apre e si chiude con regolarità atavica. Continuando, da sempre, a ignorare i mutamenti di tempi e modi dell'editoria: dal print-on-demand (la stampa su misura) alla recentissima pretiratura (in pratica duecentocinquanta copie di assaggio da inviare ai librai prima della pubblicazione vera e propria, per evitare rischi e rese). E scegliendo di proporre ai lettori cataloghi oltre ogni possibile tentazione di guadagno. Come nel caso della "Società per edizioni scelte" di Firenze che (sul Lungarno Guicciardini a pochi passi dall'appena inaugurata "Biblioteca Harold Acton") offre, tra arredi di gusto neoclassico e sedie appartenute a Enrico Caruso, riproduzioni su carta del mediceo Trattato di bicchierografia di Giovanni Maggi, cataloghi sulle Botteghe di mobilieri in Toscana dal 1780 al 1900 o spartiti dell'Estro poetico armonico di Benedetto Marcello.

Si tratta di realtà fuori degli attuali standard di mercato e spesso fuori anche dall'ordinario, che talvolta hanno involontariamente lo stesso sapore della neogotica "Lello & Irmao Bookshop" a Porto o della trendissima "Magma" a Londra e che continuano a rivestire un proprio ruolo sociale specifico.

In crisi sono soprattutto gli spazi "modello boutique" senza carattere e con proposte legate soltanto ai best-seller.

Ad esempio nelle piccole città di provincia dove la libreria continua a rappresentare un reale punto di riferimento e di aggregazione alla pari del municipio, della farmacia o del tabaccaio. Persino oggi, quando il mestiere del libraio non è più lo stesso e quando la libreria non corre più il rischio di diventare (a seconda delle necessità) luogo di incontro di scrittori e intellettuali, fucina di scambio di informazioni e di cultura, rifugio di perseguitati politici, tana di cospiratori, punto di appuntamento per spie.

Lontani sono i tempi in cui Metternich "progettava un'organizzazione di tutta l'editoria dell'Impero capace di ridimensionare lo straripante potere dei librai". Eppure qualcosa di quell'idea di libreria come luogo di cultura continua a esistere (sia pur assai fragilmente tanto che qualcuna di loro potrebbe essersi addirittura chiusa nell'arco di questo stesso articolo) in una "Libreria del mare" di Milano o di Palermo, nel "Becco Giallo" di Oderzo (provincia di Pordenone) che assembla tutto quanto fa "lettura per bambino", nella "Pergamena" di Courmayeur dove si ritrovano storie di montagne e scalate. Oppure nella libreria dell'Isola della Maddalena (specializzata in oceani e arcipelaghi), nell'"Argo" di Lecce interamente votata agli scrittori dell'altra Europa, nella "Popolare" di Grosseto con i suoi libri su Etruschi e Maremma o nella "Casa Azzurra", lungo la statale dei Giovi (tra Milano e Portofino), che mette in vendita riedizioni d'autore del De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio.

Chi scommetterebbe oggi su un futuro sicuro e tranquillo per il "Viaggiatore immaginario" di Arezzo (che non sconfina mai da guide e taccuini di grandi viaggi magari in versi), per l'"Alberti" di Verbania che parla soltanto (o quasi) di Lago Maggiore, sulla "Pecorini" di Foro Bonaparte a Milano (dotata di rari erbari settecenteschi e di bibliografie) o sulla "Aristodemo Ferri" dell'Aquila che ha in catalogo la riproduzione della Perdonanza di Collemaggio curata dall'Abate Tarcisio Manetti. Eppure sono proprio piccoli spazi come questi che (alla pari di grandi e storiche librerie capaci di mantenere intatto il sapore delle proprie origini come la "Hoepli" di Milano, la "Herder" di Roma, la "Colonnese" o la "Guida" di Napoli) ad avere ancora qualche speranza. Una speranza che contraddice addirittura la logica che vuole ormai il libraio trasformato "in un esperto di marketing, psicologia della vendita, di informatica, di programmazione e di controllo, di gestione dello stock o di rotazione dei titoli" mentre sembra preistoria il tempo in cui Giorgio Amendola, proprio in qualità di commesso di libreria, assolveva (vendendo le Fiabe di La Fontaine o Gli indifferenti di Moravia) "I'unico lavoro che abbia mai fatto come dipendente da un padrone": a Napoli, agli ordini del "buon signor Johannowsky", dalla primavera del 1929 al marzo del 1931.

Nessuno vuole fermare il tempo ma si può comunque cercare di renderlo più a misura d'uomo. È giusto che ci siano i grandi spazi tanto amati dai giovani ma è anche giusto che agli stessi giovani sia offerta (oltre alla possibilità di utilizzare biblioteche scolastiche finalmente aperte e aggiornate) l'opportunità di conoscere l'altra faccia della libreria. Quella destinata a essere schiacciata senza possibilità di scampo dalle attuali strategie di marketing, quella simboleggiata dalla mitica (e purtroppo scomparsa) "signora Adriana" della "Carù" di Gallarate. Quella dei Don Chisciotte.

STEFANO BUCCI

ISTRUZIONI PER I NAVIGANTI

PICCOLO VADEMECUM DI CITAZIONI
PER UOMINI FOLLEMENTE SAGGI:

«E via, sì, sono pazzo! Ma allora perdio, inginocchiatevi! Inginocchiatevi! Vi ordino di inginocchiarvi tutti davanti a me – così! E toccate tre volte la terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti ai pazzi, si deve stare così!».

William Shakespeare, Enrico IV

Antico proverbio siciliano Li pazzi fabbricanu la casa, li savi l'accattunu (I pazzi fabbricano la casa, i savi la comprano).

Non corre uguale il nostro cammino
il saggio poco crede all'importuno;
neppure il ricco crede al povero,
il sazio non crede a chi è digiuno.
Antonio Veneziano, Ottave, trad. di Aurelio Rigoli

CIAMPA ... Vuole che gliela spieghi io, la cosa com'è? Lo strumento è scordato.
BEATRICE Che strumento? Che strumento?
CIAMPA La corda civile, signora. Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa.
Con la mano destra chiusa come se tenesse tra l'indice e il pollice una chiavetta, fa l'atto di dare una mandata prima su la tempia destra, poi in mezzo alla fronte, poi sulla tempia sinistra.
La seria, la civile, la pazza. Soprattutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. – Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. – Non si può. – Io mi mangerei – per modo d'esempio – il sgnor Fifì. – Non si può. E che faccio allora? Dò una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: «Oh quanto m'è grato vedervi, car il mio signor Fifì!» – Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora...allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!
FIFÌ Benissimo! benissimo!Bravo, Ciampa!
CIAMPA Lei, signora, in questo momento, mi perdoni, deve aver girato ben bene in sé – per gli affari suoi – (non voglio sapere) – o la corda seria o la corda pazza, che le fanno dentro un brontolio di cento calabroni! Intanto, vorrebbe parlare con me la corda civile. Che ne segue? Ne segue che le parole che le escono di bocca sono sì della corda civile, ma vengono fuori stonate. Mi spiego? – Dia ascolto a me.

Luigi Pirandello, Il berretto a sonagli

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Gli si riempì la fantasia di tutto quello che leggeva nei suoi libri: incanti, litigi, battaglie, sfide, ferite, dichiarazioni, amori, tempeste e stravaganze impossibili; e si ficcò talmente nella testa che tutto quell'arsenale di sogni e d'invenzione lette ne' libri fosse verità pura, che secondo lui non c'era nel mondo storia più certa.

Miguel De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia

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Il pensiero si mette dalla parte di Sancho Panza. Per amore del vero e della vita, la filosofia deve soffermarsi sul divario fra gli ideali e le cose, sulla mancata corrispondenza fra l'universalità postulata dall'idea e la miseria del reale che la smentisce. Il pensiero non s'identifica col Libro, che intima ai mulini a vento d'essere giganti e alle bacinelle da barbiere d'essere mitici elmi d'eroi, ma smonta e disfa l'ordine che il Libro – l'universale vuole imporre dall'alto all'infima e riottosa molteplicità del mondo. La filosofia guarda alla realtà dall'altezza della sella d'asino di Sancho, attenta a quei dettagli meschini e insignificanti che l'ingegnoso hidalgo non può scorgere, perché vi sovrappone le nobili immagini e le maestose gerarchie dei libri di cavalleria... Sancho disincanta la finzione dei valori che dovrebbero trasparire dagli oggetti e dagli eventi quotidiani, dell'oro che dovrebbe risplendere dalla bacinella del barbiere. La prospettiva di Sancho tuttavia non nega, bensì integra quella dell'hidalgo...Scambiare quei mulini a vento per giganti è ingannevole, ma non lo è la fede nei giganti ossia l'esigenza di valori che giustifichino la vita. La fedeltà alle cose, che non si fa abbacinare da alcuna idealizzazione, è l'autentica custode dell'utopia donchisciottesca di riscattare veramente – e non retoricamente – le cose dalla loro insensatezza; quando don Chisciotte in punto di morte rinnega la sua fede nei cavalieri erranti, è Sancho che lo esorta a rimettersi in cammino, alla ricerca di Dulcinea.

Claudio Magris, Itaca e oltre

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Ma ormai dimentica di me stessa, ho passato da un pezzo i limiti. Tuttavia, se vi pare che il discorso abbia peccato di petulanza e prolissità, pensate che chi parla è la Follia, e che è donna. Ricordate però il detto greco: «spesso anche un pazzo parla a proposito»; a meno che non riteniate che il proverbio non possa estendersi alle donne.

Vedo che aspettate una conclusione: ma siete proprio scemi, se credete che dopo essermi abbandonata a un simile profluvio di chiacchere, io mi ricordi ancora di ciò che ho detto. C'è un vecchio proverbio che dice: «Odio il convitato che ha buona memoria». Oggi ce n'è un altro: «Odio l'ascoltatore che ricorda». Perciò addio! Applaudite, vivete, bevete, famosissimi iniziati alla Follia.

Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia

 

 

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